Romano Prodi intervistato dalla rivista Le Scienze

Ricerca, il segreto è la collaborazione università-imprese

Nei mesi scorsi, il mensile Le Scienze ha invitato i due candidati premier a discutere i programmi italiani sulla scienza.

Ha posto loro dieci domande sulla ricerca scientifica, l'universita', l'innovazione, lo scenario energetico.

Ma solo Romano prodi ha risposto.

Grazie a Le Scienze, ospitiamo le dieci domande e le dieci risposte del Professore.

2 Aprile 2006

Ottobre 2004. “Le Scienze” pubblica in esclusiva un documento di buona fattura: la redazione della rivista britannica “Nature” ha preparato alcune domande sulla scienza e lo sviluppo tecnologico, le ha inviate ai due candidati alle elezioni statunitensi, e Bush e Kerry hanno risposto.

I lettori di “Nature” e “Le Scienze” hanno così potuto leggere le diverse posizioni dei due contendenti su questioni cruciali, e trarne elementi di valutazione sui due programmi per il governo della scienza e della tecnologia. Nell’editoriale di quel mese, avevo elogiato il rispetto per le regole di una competizione democratica che, svolgendosi in una nazione come gli Stati Uniti, avrebbe influito sulle politiche di altre nazioni. Avevo anche espresso la speranza di poter ospitare, su questa rivista, un’analoga e civile esposizione di contrapposti programmi italiani sulla scienza, seguendo le regole auree che avevano permesso a “Nature” di realizzare la doppia intervista a Bush e Kerry.

In questi ultimi mesi abbiamo lavorato per ottenere dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dal candidato del centrosinistra, Romano Prodi, le loro risposte a dieci domande, domande per la cui formulazione abbiamo chiesto, e ottenuto, il contributo dei lettori.

Pensavamo di pubblicare la doppia intervista nel numero di marzo, per restare a una ragionevole distanza dai giorni del voto e dalle fasi più aspre del dibattito politico: i problemi della ricerca scientifica, dell’università e dello scenario energetico meritano infatti un’argomentazione seria e pacata. Dovendo tuttavia tener conto dei molti impegni dei due candidati, abbiamo lasciato passare un altro mese. Per motivi di stampa, il 13 marzo era l’ultima data possibile per l’arrivo delle risposte. Ci sono pervenute solo quelle del professore Prodi. Eccole.

Enrico Bellone

1) Con quali iniziative concrete intende rafforzare il ruolo dell’Italia nello spazio europeo della ricerca, con particolare riferimento alla nostra adesione al Consiglio Europeo della Ricerca?

«L’ Italia ha vissuto al margine dei processi politici che hanno portato alla creazione dell’ERC, un’ istituzione molto importante perché valorizza nell’ambiente europeo quel grande volano di innovazione che è la ricerca di base. Si e’ trattato di una incredibile mancanza di sensibilità politica dato che ci siamo trovati praticamente da soli a remare contro un’azione sostenuta dalla stragrande maggioranza dei partner europei ed in cui alla fine abbiamo aderito tardivamente, malamente (al punto che uno dei due italiani nominati nel comitato dell' ERC e’ stato segnalato da un altro Paese) e con risorse limitatissime. L’ Italia e’ sempre stata nel gruppo di testa dei processi di integrazione Europea, come la Unione Europea, l’ European Space Agency (ESA), CERN, l’ European Southern Observatory, e così via.

Dobbiamo tornare anche nel caso dell' ERC a pilotare un processo europeo e non a subirlo. La nostra ricerca nazionale ha grande bisogno di riferimenti internazionali, per crescere e rimanere competitiva. L’ ERC sarà uno strumento importante in questa direzione e l’ Italia deve partecipare con eguale ruolo e dignità dei principali partners europei per ricavarne il massimo beneficio contribuendo a formulare politiche della ricerca europea che siano coerenti con quelle nazionali e massimizzino la nostra competitività e non, come e’ accaduto nel passato, siano disegnate su interessi di altri Paesi.

Per questo e’ necessario che il contribuito italiano all’ ERC si allinei a quella degli altri principali paesi partecipanti e che siano messe in atto delle azioni per coinvolgere università e enti pubblici di ricerca nelle discussioni delle strategie che l’ ERC metterà in campo In questo senso ritengo che la CRUI e i rappresentanti dei principali EPR debbano giocare un ruolo di coordinamento visibile e autorevole».

2) L’investimento nazionale in ricerca dell’industria privata è inferiore a quello dei maggiori paesi industrializzati. Ciò ostacola l’innovazione di sistema e indebolisce i nostri livelli di competitività. Come intende incentivare l’investimento in ricerca dell’industria privata?

«Parte del problema è legato alle piccole dimensioni della maggior parte delle imprese italiane. Si tratta di un problema strutturale che non può essere ignorato.

Dobbiamo invece sviluppare una politica complessiva della ricerca che punti ad aumentare la qualità e la quantità della ricerca nel nostro Paese, investendo le risorse necessarie, umane e materiali. Vi sono vari strumenti da utilizzare. Il primo strumento è il finanziamento discrezionale di grandi progetti. Una parte degli investimenti in ricerca deve essere orientata su specifici programmi selezionati attraverso la seguente procedura:

* identificazione di aree con netta priorità e dai confini ben delimitati: scienze della vita, scienze della materia, nanotecnologie, fonti energetiche alternative, ICT e scienze dello spazio;
* coordinamento con domanda pubblica (informatizzazione della Pubblica amministrazione e piano dei trasporti, dell’energia e dell’ambiente), con la formazione e con l’alta educazione;
* complementarità, rispetto ai programmi e alle piattaforme tecnologiche attivate a livello UE;
* assunzione di un sistema trasparente e condiviso di valutazione ex-ante, in itinere ed ex-post dei progetti.

Il secondo strumento è il credito di imposta automatico sulle spese di ricerca. Per alcune forme minori, ma importanti di innovazione, tipiche di molti settori, rimangono opportuni i meccanismi di incentivazione automatici. Tuttavia è necessario definire regole antielusive e regole di valutazione a posteriori dell'utilizzo e dell'efficacia dei risparmi di imposta concessi.

Il terzo strumento è il riconoscimento di agevolazioni automatiche per le assunzioni di ricercatori.

Una politica di rafforzamento dell’assunzione di ricercatori deve passare attraverso misure di fiscalizzazione degli oneri sociali sostenuti per l'assunzione di ricercatori.

Il quarto strumento è il credito di imposta sulle commesse esterne. Proponiamo di concedere crediti di imposta pari al 50 per cento delle commesse conferite dalle imprese alle università o agli istituti pubblici di ricerca.

Il quinto strumento è lo sviluppo di una politica di trasferimento tecnologico. La diffusione sul territorio di iniziative dedicate al trasferimento tecnologico (centri servizi, parchi, Business Innovation Centers-BCI, agenzie di sviluppo territoriale, servizi di associazioni di PMI e di distretti, eccetera) è ricca, ma frammentata e non sempre dotata delle necessarie strutture e competenze. Non si tratta di spendere di più, ma spendere meglio.

Inoltre riteniamo necessario aiutare le piccole e medie imprese italiane a sostenere l’onere della brevettazione europea e delle certificazioni europee, più accreditate e riconosciute a livello internazionale, ma ben più costose di quelle italiane.

Crediamo che una particolare attenzione debba essere posta nell’industria del software e in generale alla creazione e produzione delle tecnologie necessarie all’innovazione in tutti i settori: i prodotti “intelligenti” e i servizi a valore aggiunto si costruiscono grazie al software e all’ICT.

Trasparenza, informazione e controllo devono essere le caratteristiche di queste politiche, ma allo stesso tempo dobbiamo sviluppare dei meccanismi che tengano conto che l’attività di ricerca e innovazione e’ caratterizzata da una serie prove ed errori. Dobbiamo quindi trarre insegnamento dagli errori senza frustrare la volontà di provarci di nuovo.

E’ comunque essenziale rilanciare immediatamente il ruolo della ricerca pubblica, umiliata dal centro destra da una sistematica serie di commissariamenti e ristrutturazioni di tipo aziendalista, dopo che nel mio governo avevamo dedicato grande impegno legislativo per riorganizzare e rafforzare l’ intero settore della ricerca pubblica rilanciando il ruolo centrale del ricercatore ed introducendo regole condivise per la gestione non clientelare delle risorse.

La recente valutazione del Comitato d’indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) mostra chiaramente come il governo di centrodestra si sia mosso malamente in questo campo: ai primi posti della valutazione che riguarda il periodo 2001-2003 troviamo due enti di ricerca, l’INFM e l’ INAF, su cui il Ministro ha ritenuto necessario intervenire pesantemente nel 2002, cancellando praticamente il primo, che e’ stato assorbito nel CNR, e commissariando il secondo, anche se, evidentemente, i risultati scientifici di questi enti erano ottimi.

Uno strumento fondamentale per rilanciare la ricerca e la competitività del Paese sarà l’università, serbatoio formidabile di conoscenza e risorse umane, troppo spesso sotto utilizzate a causa di logiche autoreferenziali. Collegare l’università al mondo della piccola e media impresa, sarà un obbiettivo preciso del mio governo.

Il supporto agli spin off universitari, la difesa della proprietà intellettuale, il potenziamento degli uffici di trasferimento tecnologico, la collaborazione di ricercatori e borsisti con le aziende, sono vari aspetti di questa politica.

Le PMI devono individuare i vantaggi di una collaborazione con l’Università, in termini di competitività, tecnologia, apertura a scenari internazionali, mentre l’ università potrà trovare in questo rinnovato rapporto con il mondo produttivo un suo preciso ruolo nel necessario sforzo complessivo del Paese per riacquisire la competitività che abbiamo perduto in questi anni.

Il rafforzamento e la razionalizzazione dei Distretti tecnologici in coerenza con le Piattaforme tecnologiche del Programma quadro ruropeo sarà un altro obbiettivo del mio governo per rilanciare la ricerca applicata. Intendo anche affrontare in modo serio il problema del trasferimento tecnologico, argomento troppo spesso relegato a sforzi episodici e non sistematici.

Ogni Paese moderno ha un serio sistema di trasferimento tecnologico, con Istituti composti da ricercatori ed esperti che si dedicano a questo compito usando metodi e strumenti consolidati a livello internazionale.

Garantire il volume di trasferimento tecnologico necessario per il nostro Paese anche tenendo conto degli investimenti che vengono fatti nel campo della ricerca, richiederà risorse e sforzi non trascurabili oltre che ad un cambio di mentalità sia da parte del mondo dell' università e della ricerca che del mondo dell' industria.

E’ mia intenzione incentivare questa sinergia con azioni di medio lungo termine, leggère dal punto di vista della burocrazia ma efficaci dal punto di vista dei risultati, dando certezza di prospettive e risorse in un campo strategico per il futuro del Paese».

3) In Italia il numero dei ricercatori che operano in enti pubblici e privati è molto inferiore alla media europee, ed è caratterizzato da forme di precariato. Quali iniziative intende prendere in proposito?

«L’esplosione di forme di precariato nel mondo dell' università e della ricerca è una delle conseguenze nefaste del braccio di ferro che c’è stato in questi anni tra il mondo della politica e il governo di centrodestra ed il mondo della cultura, della ricerca e della formazione.

Se da una parte è ragionevole che l’inserimento alla professione di docente universitario e di ricercatore passi per un percorso formativo serio e una selezione rigorosa, come accade in tutti i paesi civili, non è accettabile che rimangano indefiniti o vessatori i termini del consolidamento delle prospettive professionali di chi si dedica a questo tipo di attività come è accaduto per esempio con la recente contestatissima legge sullo stato giuridico dei ricercatori e docenti universitari.

E’ senza dubbio vero che abbiamo bisogno di più ricercatori: è però altrettanto certo che abbiamo bisogno di persone competenti, in grado di contribuire, ciascuno per la sua parte, allo sforzo corale per il rilancio della competitività. Per questo sarà necessario creare molti nuovi posti di lavoro nel comparto della ricerca, realizzando percorsi che portino dalla precarietà a prospettive di lungo termine ma che allo stesso tempo riconoscano competenza e merito e non escludano le generazioni più giovani che spesso possono contributi importantissimi all’ attività di ricerca.

Non dobbiamo infatti mai dimenticare il contributo determinante in idee e azioni innovative che le giovani generazioni hanno sempre dato alla ricerca.

Dobbiamo incoraggiare il rischio, l’iniziativa, la capacita di proporre idee controcorrente, caratteristiche naturali delle persone giovani che possono fare la differenza se viene data loro la possibilità di assumersi responsabilità gestionali e decisionali. L’apertura e la condivisione delle idee tra le diverse parti del sistema della ricerca deve altresì essere incoraggiata, in quanto è dal confronto di idee diverse che possono nascere risultati di importanza decisiva.

Le torri d’avorio della ricerca accademica sono lussi di altri tempi che non ci possiamo più permettere: il bagaglio di competenze, scoperte e informazioni deve essere sfruttato nel modo migliore mettendolo a fattore comune».

4) Con quali strumenti intende porre rimedio al fenomeno della fuga dei cervelli dall’Italia, favorire il rientro dei ricercatori italiani che si sono trasferiti all’estero e promuovere l’integrazione di giovani ricercatori stranieri nel nostro Paese?

«Intendo mettere in atto tutte le azioni possibili per equilibrare il flusso di ricercatori da e per il nostro Paese e per tamponare l’ assurda emorragia di competenze e di risorse preziose a cui assistiamo, in particolare in questi ultimi anni.. La Cina ha affrontato un problema analogo, quando alla soglia del balzo economico ha trovato il modo di richiamare in patria i moltissimi bravi ricercatori emigrati in tutti i paesi del mondo. I Cinesi non hanno esitato ad investire le risorse necessarie per rendere attraente il ritorno in patria e per rendere stabili le prospettive dei migliori ricercatori disponibili sul mercato.

Un altro esempio molto valido è anche il sistema spagnolo delle borse Ramon y Cayal, che ha permesso il rientro in Spagna di ricercatori spagnoli affermatisi in altri paesi, attraverso una selezione di un comitato rigorosamente internazionale. Credo che dovremo studiare attentamente quanto hanno fatto e fanno questi paesi nel campo del rientro delle competenze».

5) Da varie parti è stata avanzata la proposta di destinare alla ricerca l’otto o il cinque per mille delle imposte sul reddito. Qual è la sua opinione in merito? Se è favorevole, come, e da chi, ritiene che debbano essere gestiti questi fondi?

«Può essere una iniziativa positiva quella di contribuire in modo mirato ai fondi per la ricerca sia destinando il cinque per mille dell'Irpef, sia tramite la defiscalizzazione dei contributi dati a centri di ricerca pubblici o privati. Si tratta comunque di contributi non sufficienti rispetto all’ investimento complessivo dello Stato in ricerca, che e va incrementato in modo rilevante.

La gestione di questi fondi dovrebbe essere dei ministeri competenti in materia di ricerca, in particolare il MIUR, e soprattutto andare ad aggiungersi agli investimenti stanziati ogni anno, probabilmente sostenere progetti mirati e aventi un grande impatto per la società».

6) Ritiene utile introdurre commissioni internazionali che controllino e valutino periodicamente l’uso di fondi e di risorse umane nelle Università e negli enti pubblici di ricerca italiani?

«Gli standard della ricerca sono internazionali e poche cose come la ricerca beneficiano del confronto tra strategie e scelte diverse. Sono quindi più che favorevole ad una valutazione internazionale di Università ed Enti Pubblici di ricerca, per mettere in evidenza in modo non autoreferenziale i punti di forza e di debolezza del nostro sistema della ricerca. Uno dei vantaggi dell' Europa consiste nella possibilità di accedere facilmente ad un grandissimo serbatoio di competenze.

Istituzioni come la European Science Foundation o l’ European Research Council permettono di creare gruppi di esperti di livello indiscusso in grado di valutare in modo non parrocchiale gli istituti di ricerca italiani. Non si tratta di esterofilia ma semplicemente di adottare un comportamento largamente condiviso, i nostri più autorevoli ricercatori sono sempre più spesso chiamati a fare parte di pannelli internazionali di valutazione della ricerca di altri paesi e così dobbiamo fare anche noi in particolare con i ricercatori degli altri paesi europei».

7) Considerato il parere favorevole quasi unanime della comunità scientifica, pensa che l’Italia debba investire nelle biotecnologie agrarie e aprirsi agli OGM, oppure mantenere l’attuale posizione di rifiuto?

«Prima di tutto mi pare eccessivo dichiarare che esiste una opinione favorevole unanime della comunità scientifica nei confronti degli OGM . Esistono infatti ancora problemi aperti soprattutto in materia di possibili effetti a lungo termine e di contaminazione incrociata tra coltivazioni OGM e coltivazioni biologiche. Esiste poi un problema che preoccupa molti agricoltori, e non solo nel nostro paese, di eccessiva dipendenza da situazioni di brevetto eccessivamente limitanti.

D’altra parte non possiamo nemmeno nasconderci che da sempre lo sviluppo dell' agricoltura e della zootecnia è stato un continuo sforzo di selezione di specie geneticamente ottimizzate, con tecniche molto meno raffinate di quelle odierne, ma sempre al fine di migliorare la produzione. Per cui è importante affrontare il problema con rigore scientifico e trasparenza politica.

Noi intendiamo valorizzare i caratteri e le identità dell’agricoltura italiana, preservare e potenziare il legame tra agricoltura e industria alimentare e diversificare i percorsi di sviluppo. Vogliamo certamente sostenere l’innovazione con un forte impulso alla ricerca e al trasferimento dei risultati alle imprese.

Vogliamo anche custodire i valori della biodiversità e privilegiare la naturalità dei processi incentivando realmente l’agricoltura biologica anche ai fini della difesa e valorizzazione ambientale. Per questo motivo intendiamo adottare verso gli organismi geneticamente modificati il “principio di massima precauzione”, che è comune a tutta la politica di ricerca in Europa e non solo al settore OGM».

8) Come è noto, nel nostro paese sono crioconservati migliaia di pre-embrioni in attesa di un impianto che forse non avverrà mai. Sarebbe favorevole al loro impiego per scopi di ricerca?

«Io credo che su questo argomento, come su altri di pari delicatezza, la scienza debba ancora offrire indicazioni importanti e che la risposta alla domanda così posta, su un argomento così complesso, non possa essere un semplice si o no. Noi siamo certamente favorevoli alla ricerca e all’utilizzo di cellule staminali adulte, e quindi senza interventi su embrioni.

All’estremo opposto riteniamo che tecniche come la clonazione umana siano assolutamente da evitare perché passano attraverso la creazione di un embrione che poi viene distrutto, anche se per fini nobilissimi di terapia La vita umana, voglio ribadirlo, è il fine del nostro intervento mai un mezzo.

Nel caso particolare qui sollevato degli embrioni sovranumerari crioconservati, siamo contrari al loro utilizzo allo stato attuale della conoscenza scientifica. Se l’embrione umano ha, come penso, un valore soggettivo è infatti difficile immaginare la sua strumentalità.

Dobbiamo però essere attenti al fatto che la scienza deve ancora darci risposte importanti non tanto in relazione alla natura degli embrioni quanto sullo stato di quelli crioconservati. Non sono in questione, io credo, la libertà di ricerca e la sua autonomia, bensì l’incertezza sullo stato degli embrioni dopo un certo periodo di conservazione.

Data la delicatezza del problema noi ci impegniamo a riprenderne rapidamente l’analisi tenendo presenti tutti gli aspetti etici, scientifici e medici, ben attenti a non porci domande troppo semplici su temi tanto complessi».

9) Come intende promuovere lo sviluppo della scienza spaziale italiana, intesa sia come settore trainante dell’economia, sia come elemento fondamentale per la ricerca?

Ho seguito con particolare attenzione e preoccupazione l’evoluzione o meglio l’involuzione delle attività spaziali italiane in questi anni di governo di centro destra. Il mio governo si e’ impegnato moltissimo per il risanamento economico dell' Agenzia Spaziale Italiana (ASI), proprio perché convinto che il nostro Paese non potesse rimanere al margine delle attività spaziali, dopo che negli anni sessanta era stato il terzo paese al mondo a mettere in orbita un satellite.

Oggi più di ieri lo spazio è un riferimento strategico per le politiche di sviluppo industriale e tecnologico. Le nuove tecnologie tendono ad abbassare i costi dell' accesso allo spazio e le nuove economie emergenti (Cina, India) hanno investimenti ingentissimi in termini di persone e investimenti in questo campo. Devo dire che in questi anni ho visto in Italia pochissimi progressi, al di là dei soliti effetti annuncio caratteristici di questo governo. Ci si e’ limitati a portare avanti scelte e progetti decisi molti anni fa mentre e’ mancata la capacita strategica di individuare nuovi obbiettivi e strategie e di realizzarli in modo aggressivo.

Il nostro paese ha perso posizioni e prestigio in Europa (ESA) nonché a livello americano (NASA). La cessione di Alenia Spazio ad Alcatel e’ stato un colpo gravissimo al nostro sistema industriale spaziale da cui non sarà facile riprendersi. Nonostante tutto esiste però nel paese una straordinaria sensibilità sia culturale, che tecnologica, che industriale nei confronti delle attività spaziali.

Ad esempio i risultati scientifici ottenuti dai nostri ricercatori e delle industrie che operano nel campo della ricerca spaziale sono riconosciuti essere di altissimo livello. Il rilancio delle attività spaziali avverrà rafforzando da una parte la capacità ed efficienza operativa dell' ASI, che oggi appare insufficiente, in quanto strumento centrale per la gestione del Programma Spaziale Nazionale e riferimento per il mondo dell’ Industria e della Ricerca.

Sarà altresì necessario rilanciare i nostri rapporti con l’ ESA, dove sarà necessario riguadagnare posizioni e prestigio, consolidare i nostri rapporti con la NASA, nonché stringere seri rapporti di collaborazione con le più dinamiche agenzie spaziali a livello internazionale, in modo da tornare ad essere protagonisti in questo campo, sfruttando nel modo migliore le ingenti risorse che il Paese mette a disposizione per le attività spaziali.

10) Il consumo energetico italiano dipende in larga parte dai combustibili fossili e dalle importazioni. Qual è il suo programma in materia di energia, anche alla luce degli obiettivi del Protocollo di Kyoto?

Un futuro migliore per l’Italia dipende in gran parte dalla capacità del Paese di rispondere alle grandi sfide energetico – ambientali, in presenza dei rischi dei cambiamenti climatici e della crescita strutturale del prezzo del petrolio.

Con l’attuale governo abbiamo l’energia più cara d’Europa e le emissioni di gas serra che invece di diminuire del 6,5 per cento, come previsto dal Protocollo di Kyoto, sono aumentate del 13 per cento. E’ quindi necessario intervenire in profondità con un ricorso strategico all’aumento dell’efficienza energetica, con uno sviluppo accelerato delle fonti rinnovabili, con la diffusione della cogenerazione di energia elettrica e calore e con un serio investimento nella ricerca.

La competitività del paese ha bisogno tanto di energia a minore costo, quanto di un sistema energetico rinnovato e ambientalmente sostenibile.

Noi crediamo che il Protocollo di Kyoto rappresenti un’opportunità per l’innovazione delle politiche energetiche e per una riduzione della dipendenza dall’importazione di combustibili fossili.

Nel merito, le nostre proposte prevedono la diminuzione dei consumi totali dei combustibili fossili da realizzarsi con varie forme di efficienza energetica e con una decisa promozione di fonti energetiche rinnovabili

  • nel settore elettrico, con aumento dell’efficienza negli usi finali e nella produzione, con la generazione distribuita e la cogenerazione, e con un forte sviluppo delle fonti rinnovabili;
  • nei trasporti, riequilibrando le modalità a favore della ferrovia, del cabotaggio e del trasporto collettivo, migliorando l’efficienza energetica dei mezzi di trasporto e incrementando l’uso dei biocarburanti e del gas naturale attraverso un potenziamento della rete di distribuzione per l’autotrazione;
  • nell’industria e nei servizi, incentivando l’innovazione di processo e di prodotto per aumentare l’efficienza energetica;
  • nel settore civile, migliorando gli standard energetici degli edifici, i sistemi di riscaldamento e raffreddamento, l’efficienza energetica degli elettrodomestici e dell’illuminazione.
Il sistema energetico italiano deve porsi anche i problemi della sicurezza dell'approvvigionamento nel settore del gas e dell'elettricità . Va quindi sviluppata la diversificazione delle importazioni (provenienze del gas naturale, differenziate soluzioni di trasporto inclusa la costruzione di terminali di rigassificazione del gas naturale liquefatto (GNL)) con un forte ricorso a fonti rinnovabili.

Sicurezza di approvvigionamento e maggiore concorrenza richiedono per un verso che si rafforzi la rete interna e, per altro verso, che le società che gestiscono la rete di trasporto siano separate dalle imprese produttrici di energia e mantenute pubbliche. Per altro verso, riteniamo che i tradizionali "campioni nazionali" dell'energia abbiano la capacità di crescere come "campioni europei" e di operare anche fuori dai confini nazionali: le società di rete devono espandersi a livello europeo, facendo uscire il mercato italiano dall'isolamento attuale.

E’ indispensabile aumentare il ricorso a “nuove fonti rinnovabili” (eolico, biomasse, fotovoltaico, solare a concentrazione, solare termico, idroelettrico di piccola taglia , geotermia), vogliamo in modo che nell’arco della legislatura siano almeno raddoppiate, in modo da giungere al 2011 al 25 per cento di produzione elettrica da rinnovabili, rispetto all’attuale 18 per cento.

Nel settore della ricerca sulle energie sostenibili, crediamo che un ruolo di rinnovata centralità spetti all'ENEA: un prezioso patrimonio di esperienze lasciato oggi nell’abbandono. In particolare riteniamo che vadano intensificati gli sforzi di ricerca sul "sequestro del carbonio", sull'idrogeno, sulle celle a combustibile.

Circa l'energia nucleare, che tuttora costituisce una quota dell'energia importata dall'estero, il nostro impegno per la riduzione del rischio è orientato a produrre azioni di messa in sicurezza del combustibile e delle scorie esistenti in Italia e la partecipazione in sede europea alla ricerca per realizzare centrali più sicure.

Infine, proponiamo la realizzazione di un Programma energetico-ambientale, nazionale e regionale, concertato fra lo Stato e le Regioni, con la partecipazione degli enti locali e dei portatori di interesse che garantisca il consenso indispensabile alla realizzazione di una rivoluzione infrastrutturale così rilevante.

 

 

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Commenti

  • Commento di Domenico Bova

    Il Programma

    E' stato così deriso e sbeffeggiato questo programma che alla fine averlo è forse servito a qualcosa. Il silenzio di Berlusconi dimostra come sia palesemente in difficoltà se posto di fronte a domande o quaestioni programmatiche che riguardano la sua coalizione. Il Programma e la programmazione non sono forse solo operazioni di marketing elettorale ma un ritorno a una logica sana e democratica che lo pone come primo e principale strumento di governo e di base per una scelta degli elettori.