Partito Democratico, nostro nuovo Ulivo

La Direzione Nazionale della Margherita

Nella relazione del presidente, Francesco Rutelli, l’analisi del voto, la valutazione del presente e la tabella di marcia:

Amiche ed amici, l’analisi politica dei risultati delle elezioni per il parlamento del 9 e 10 aprile scorsi non può che essere collegata a una riflessione sull’esperienza della Margherita- Democrazia è Libertà al compiersi di cinque anni esatti dalla nostra “fondazione sul campo”, ovvero dalle elezioni politiche del 2001, e al delinearsi di una prospettiva complessa, affascinante, estremamente impegnativa che riassumiamo sotto il nome di Partito democratico. Il centrosinistra ha vinto le elezioni, e sarebbe il caso che la destra prendesse atto della decisione democratica degli elettori senza continuare ad avvelenare l’aria del nostro paese e la dignità delle istituzioni. Abbiamo vinto e intendiamo governare onorando la decisione degli italiani. L’Unione ha vinto conseguendo per la prima volta la metà dei consensi espressi dal popolo italiano.

Da quando esiste il bipolarismo, infatti, abbiamo perduto nel 1994 e nel 2001, e anche nel 1996 la vittoria non scaturì da una prevalenza dell’Ulivo nei voti popolari, ma fu aiutata in modo decisivo dal distacco della Lega dal Polo. Stavolta la coalizione guidata da Romano Prodi ha vinto conseguendo una leggerissima maggioranza alla camera dei deputati che si traduce in una significativa maggioranza in seggi. Al senato, una leggera minoranza nei voti espressi si tramuta in una piccola maggioranza nei seggi conseguiti, grazie alla vittoria tra gli italiani all’estero (cui si aggiunge il favore per il centrosinistra già dichiarato dalla maggioranza dei senatori a vita). Si tratta di una maggioranza parlamentare inequivocabile.

Per quanto assai limitata al senato, essa corrisponde a decine di casi di maggioranze parlamentari che si sono prodotte a livello internazionale con vantaggi minimi, ma che non di rado hanno dato vita a esperienze governative di successo. È la realtà dei sistemi bipolari, che assegnano spesso la vittoria al fotofinish. Il dovere è servire la nazione Tocca dunque a noi, a Romano Prodi non appena avrà ricevuto l’incarico dal capo dello stato di guidare il nuovo governo, dimostrare di saper servire l’interesse di tutta la nazione e di saper amministrare con capacità, coesione e successo, far tornare a crescere l’economia, assicurare una larga partecipazione alle scelte dell’innovazione e della competitività con una significativa coesione sociale, recuperare credibilità e in- fluenza in Europa e nella scena internazionale.

L’Unione deve dimostrare unità, e non è un gioco di parole. È quello che gli elettori ci chiedono e che non ci sarebbe perdonato se venisse meno, vista l’ansia che avvertiamo attorno a noi perché si volti pagina, e vista l’ampiezza e l’altezza delle sfide da affrontare. Noi ci impegniamo a contribuire a questa unità della coalizione, alla stabilità del futuro governo, al rispetto delle linee del programma sottoscritto davanti al popolo. Nella tenuta unitaria, pur con la complessità della nostra coalizione, saremo paradossalmente supportati dalla persistenza in campo di Berlusconi. Non è ancora finita la troppo lunga stagione del “maggioritario con Berlusconi”. Ma sappiamo che il successo della nuova legislatura dipenderà interamente da noi.

A questo fine deve aiutarci anche l’esperienza di ciò che non è riuscito bene nella campagna elettorale. Perché i successi quasi generalizzati che il centrosinistra ha raccolto nelle elezioni amministrative, nelle regionali, nelle suppletive dal 2002 al 2005, e l’univoca rilevazione della volontà popolare che emergeva nei sondaggi fino al giorno dello scrutinio indicava la nostra vicinanza a un successo più netto.

Se questo non è accaduto, lo si deve all’indubbia capacità di Berlusconi di riportare ai seggi – attraverso una pervasiva, aggressiva campagna di allarmi, di paure e di nuove mirabolanti promesse – circa due milioni di elettori che avevano votato Forza Italia nel 2001 e se ne erano distaccati nei quattro anni successivi (dimostrandosi così una volta in più la sensibile differenza nel nostro paese tra il voto politico e le altre occasioni elettorali).

Si è trattato di una campagna estrema nei toni e nei contenuti, che ha smosso timori e aspettative di una parte meno politicizzata e informata dell’elettorato – e anche “antipolitica” – producendo un riavvicinamento tra i consensi dei due schieramenti.

Emerge infatti dalle prime analisi sui flussi elettorali che a questo risultato hanno concorso sia l’ulteriore incremento dei partecipanti al voto con il ritorno alle urne di numerosi indecisi di orientamento di centrodestra, sia un parziale riequilibrio tra gli elettori “infedeli”: sono sempre poco numerosi, in Italia, e questa volta sarebbero stati circa il 5% dei votanti, i 3/4 dei quali hanno preso la strada del centrosinistra, e 1/4 quella del centrodestra. Non si è registrato dunque l’atteso “scongelamento” del voto della Cdl, su cui era ragionevole scommettere anche alla luce di alcuni segni rilevanti registrati particolarmente al Sud nelle regionali di un anno fa.

Le inadeguatezze della nostra campagna elettorale A questo esito hanno concorso anche lacune e inadeguatezze della campagna elettorale dell’Unione; la scientifica esasperazione da parte della propaganda della destra di posizioni provenienti dalla sinistra radicale; l’assurda “caccia alla Chiesa cattolica” promossa come tema dominante dalla Rosa nel Pugno (sostenere in Italia l’assonanza tra “Vaticano e talebano” è prova di una propensione minoritaria priva di logica politica e di qualsivoglia corrispondenza con le attese autentiche maturate in un paese che è civile, laico, tollerante); le prolungate prese di posizione inutilmente dettagliate su ipotetiche misure fiscali che hanno aperto uno spazio all’offensiva falsa e demagogica del Polo e dato pretesti per allarmi tanto immotivati quanto diffusi.

Soprattutto, abbiamo vissuto le ultime giornate della campagna elettorale, decisive per la formazione della scelta degli elettori incerti, anziché all’attacco sui disastri della destra, in difesa sul terreno scelto dai nostri avversari. Non c’è dubbio che questi sviluppi, cui Romano Prodi ha risposto con parole inequivocabili e rasserenanti (pur in mezzo al frastuono aggressivo dei nostri avversari), abbiano penalizzato la nostra capacità – e qui “nostra” sta sia per la coalizione, sia specificamente per la Margherita, che pure ha dato un contributo importante per trasmettere fiducia e affidabilità agli elettori – di intercettare voti moderati e di consolidare elettoralmente l’indubbio e diffuso giudizio di delusione verso i cinque anni di governo della destra.

Il voto al nostro partito è stato pari al 10,73% dei voti espressi in 17 regioni (escluse Trentino Alto Adige, Molise, Valle d’Aosta), ovvero pari a 3.665.000 voti. Nell’ultima Direzione e negli auspici pubblici avevo indicato un’“asticella” su un risultato a due cifre, superiore al 10% dei voti popolari.

Ci aspettavamo tuttavia qualcosa di più. Credo che abbiamo raccolto un punto percentuale in meno di quello che era nelle nostre attese degli ultimi giorni. Questa constatazione, tuttavia, deve partire dai dati reali, che riassumo: al 14,5% raccolto dalla Margherita cinque anni fa vanno sottratti il punto e mezzo raccolto dall’Udeur, che allora era nelle nostre liste, e un voto giovanile, tra i 18 e 25 anni, particolarmente robusto per il nostro partito e che l’Ipsos stima attorno a un punto percentuale.

Il nostro voto vale esattamente, al 9 e 10 aprile, un 11% nazionale considerando le tre regioni in cui era assente il simbolo della Margherita, tra cui spicca la provincia di Trento dove siamo nettamente il primo partito per consensi. Credo che abbiamo fatto bene a non riportare il mio nome nel simbolo, come prova di maturazione e crescita del partito; ricordiamo che nel voto del 2001 quella scelta incise parecchio, poiché era associata al simbolo dell’Ulivo, e perché posta in competizione con tre soli altri simboli elettorali (Ds, Pdci e Girasole), mentre questa volta la scelta nella coalizione, con un inevitabile effetto di dispersione, era tra dieci-dodici simboli di partito in corsa per ogni circoscrizione regionale per il senato.

Il dato più positivo per il partito riguarda gli eletti. Sappiamo che vi sono situazioni personali preziose e importanti ancora da risolvere, e siamo impegnati a dare ad esse una soluzione giusta e razionale. Ma nell’insieme va rimarcato che Dl è l’unico tra i maggiori partiti (salvo Rifondazione, che cinque anni fa non era coalizzata e fu severamente penalizzata con il sistema uninominale) ad aumentare significativamente il numero dei propri seggi. In base ai conteggi provvisori, eleggiamo (inclusi due senatori e un deputato delle circoscrizioni estere) 122 parlamentari. Cinque anni fa ne eleggemmo 106 (furono 14 gli aderenti all’Udeur).

Tra i maggiori partiti, Forza Italia ne perde una cinquantina, i Ds una quindicina, An ne perde 34 (così che la Margherita è nettamente la terza forza parlamentare), l’Udc 10, la Lega otto. C’è un elemento invisibile che è pure positivo, e consente di dare un riconoscimento a Franco, Dario e quanti con loro hanno collaborato a definire gli accordi con i Ds per le quote di rappresentanza dei partiti all’interno della lista dell’Ulivo: il rapporto di forza stabilito tra i nostri partiti interpretando la serie storica dei risultati elettorali (pari a circa 62% rispetto a 38%) si è realizzato praticamente in modo perfetto non solo quanto agli eletti, ma anche nel rapporto di forza elettorale tra il 17,5% dei Ds e il 10,7% della Margherita. Meglio per entrambi se avessimo avuto più voti, ma non sfugge a nessuno l’importanza che non si sia determinato uno squilibrio che avrebbe potuto essere foriero di problemi politici sostanziali.

Nel quadro d’insieme, c’è ancora un elemento positivo e uno negativo da mettere in rilievo. Resta critica la nostra capacità di crescita nelle grandi città: Bologna, e poi Milano e poi Palermo, Roma, Genova, Bari e Napoli restano sotto il 10%, il che stride maggiormente – penso soprattutto a Roma e Milano – in confronto agli exploit di cinque anni fa.

Va notato che in genere crescono sia i voti percentuali che quelli assoluti rispetto alle provinciali; ma non è una consolazione, vista la grande crescita dei votanti il 9 e 10 aprile. La Margherita ha in queste città meno radicamento e, spesso, meno capacità di consolidare rapporti con le classi dirigenti larghe delle comunità metropolitane. Qualcosa che l’Ulivo riesce a fare molto meglio. Emergono bene, tra gli altri, i risultati Dl di Torino, Trieste e Potenza.

Il volto nazionale del partito È positivo il profilo nazionale del voto al partito. Contrariamente alle mie stesse previsioni, esiste cioè un consenso medio che non si discosta significativamente da regione a regione: tra l’8,7% della Liguria e il 12,8% della Campania (salvo il 15,4% della Lucania) c’è il profilo di un partito né “meridionale” né “settentrionale”, ma che raccoglie consensi abbastanza omogenei, con le stesse percentuali in Veneto e in Sicilia (regioni dove siamo la prima forza elettorale del centrosinistra).

Certo: i limiti e le contraddizioni della nostra struttura organizzativa, il mancato decollo dei circoli in molta parte del territorio ci interrogano sul troppo tempo che abbiamo trascorso in discussioni interne anziché nella crescita di un tessuto partecipativo più efficace. Infine: raddoppia la nostra rappresentanza parlamentare femminile, anche se resta ancora insufficiente. Dobbiamo impegnarci per correggere alcune situazioni e fornire un quadro di proposte adeguate a Prodi nella prospettiva delle responsabilità governative.

Registriamo un significativo ringiovanimento medio dei nostri eletti, e l’ingresso di signifi- cative personalità che – “esterne” al momento della formazione delle liste – entrano a far parte a pieno titolo delle nostre fila, e che ho invitato ad assistere ai lavori della Direzione perché inizino ad acclimatarsi nel nuovo impegno che le e li attende. Un apprezzamento speciale va a Franco Danieli che, con gli altri rappresentanti dell’Unione, ha congegnato in modo unitario ed efficiente le liste dei nostri italiani all’estero: pur tra le grandi difficoltà di quella inedita campagna elettorale, abbiamo dimostrato che c’è un prevalente indirizzo democratico tra i nostri concittadini nel mondo, e non la velleitaria retrovisione propagandata dal ministro Tremaglia (e dalla gestione faziosa di Rai International).

La legge elettorale ci ha aiutati o danneggiati? Alla fine, conta poco rispondere. Abbiamo dovuto competere con queste norme sconclusionate e abbiamo vinto. Secondo me avremmo vinto di più e meglio con la legge precedente, nonostante certe proiezioni astratte che si sono lette in questi giorni, perché avremmo messo meglio in campo i nostri candidati e il loro migliore rapporto con il territorio.

Credo che nella seconda parte della legislatura sia necessario mettere mano alla legge Calderoli, e credo che ci dobbiamo impegnare a farlo, come già Prodi ha più volte annunciato. La Margherita ha certamente sofferto più di altri questa legge. E va sottolineato come il premio particolare alla lista dell’Ulivo alla camera – che ottiene quasi tre punti più dei nostri partiti al senato – suoni anche come un premio contro la frammentazione, che tuttavia è stata enormemente incoraggiata e, alla fine, è stata elettoralmente remunerata; il centrosinistra deve dire grazie anche ai 90.000 voti raccolti in autonomia alla camera dalla “Lista Panto” in Veneto, ma ha vinto per il contributo dato da tutte le sue liste: i quattro partiti che hanno di poco superato l’asticella del 2%, più l’Udeur che ha fruito della clausola del “migliore escluso”, ma anche le tante liste che hanno contribuito pur senza raccogliere eletti (inclusi i Repubblicani europei, con il loro 0,1%, che concorrono al progetto dell’Ulivo). Va sottolineata la grande prova di responsabilità di coalizione che abbiamo dato assicurando l’elezione di numerosi parlamentari di forze minori, con i nostri voti, nella lista dell’Ulivo.

Il progetto dell’Ulivo esce rafforzato dalla prova elettorale. Ne trae, anzi, una spinta decisiva verso il Partito democratico. Sempre alla vigilia del voto, indicai nel 30% la soglia della riuscita per l’Ulivo. Ma il 31,2% raccolto, con 11.734.000 voti, vale di più, e non solo perché superiore ai valori dei partiti promotori.

Perché, proprio nel dannoso panorama della frammentazione, ha offerto un’alternativa credibile di aggregazione per il buongoverno sotto la guida di Prodi. Perché ha resistito all’erosione delle molte liste e, anzi, ha attirato consensi aggiuntivi. Noi della Margherita, voglio sottolinearlo con orgoglio, abbiamo legato esplicitamente nelle iniziative pubbliche nelle piazze e in televisione il successo dell’Ulivo alla nascita del Partito democratico.

Dobbiamo essere conseguenti. Vi chiedo di esserlo, a partire dalla Direzione di oggi. Come costruiremo il nuovo progetto Non intendo però eludere un punto che ha diviso il nostro partito nell’assemblea federale di un anno fa e che ho visto affiorare in alcuni commenti del dopo-elezioni, pur se in modo assai costruttivo e comunque rispettoso della situazione e del clima unitari che abbiamo ricostruito, e che dobbiamo consolidare con una auspicabile, piena condivisione delle decisioni e delle responsabilità che ci attendono.

Io non credo, infatti, che sarebbe oggi possibile dare vita all’Ulivo-Partito democratico se fossimo stati privi della discussione, a tratti anche aspra e comunque necessariamente profonda, che ha attraversato l’ultimo anno sino alla decisione di presentare al senato liste distinte di Ds e Dl, e non una lista dell’Ulivo come alla camera dei deputati. Intanto, ma questo non è un argomento emerso nel confronto tra noi, è insostenibile la tesi secondo cui “per vincere meglio” le elezioni sarebbe stato necessario moltiplicare ancor più le liste al senato e, contemporaneamente, unirle di più sotto il simbolo dell’Ulivo.

Ma l’argomento non è tecnico-elettorale. È squisitamente politico, poiché parliamo della sfida politica più importante da mettere in campo per gli anni a venire: la nascita del primo e nuovo partito italiano a partire dalla prima forza elettorale, che ha staccato Forza Italia di quasi dieci punti, e che dovrebbe essere destinato ad essere forza attrattiva e stabilizzatrice per la maggioranza del popolo italiano. Un anno fa, noi non eravamo nelle condizioni di stabilire la confluenza in un partito unico dell’Ulivo.

Credo che avremmo rischiato di portare, alla fine, una Margherita con il 7% dei voti. Penso che aver mantenuto un percorso di autonomia, nella prospettiva unitaria, sia stato indispensabile e assai utile. Dico in modo chiaro che il cammino che ci attende dovrà essere seguito con una straordinaria, altissima attenzione, perché la nascita del Partito democratico avvenga nelle modalità che lo facciano davvero vivere, crescere e affermarsi.

Il che non è automatico né scontato ed esigerà un enorme lavoro, una costanza e un’intelligenza collettive di prima grandezza. Per farmi comprendere, voglio tornare ai nodi che un anno fa abbiamo indicato doversi sciogliere perché potesse avviarsi la prospettiva del Partito democratico. Il primo nodo: l’opzione europea e internazionale, e la non confluenza nel Pse. Credo che abbiamo fatto dei passi in avanti in termini di consapevolezza.

È cresciuta la dimensione del Pde (12 partiti, 30 eurodeputati) e il suo sistema di relazioni extraeuropee. Sappiamo che la nascita del Partito democratico comporterebbe un periodo di transizione in vista del consolidamento di alleanze internazionali più vaste e meglio corrispondenti alle esigenze di innovazione del quadro democratico e riformista europeo e internazionale. Quello che, in versione ridotta, avvenne con la nascita della Margherita ma con la persistenza per alcuni anni delle appartenenze, rispettivamente, del Ppi al Ppe, dei rappresentanti dei Democratici e di Lamberto Dini all’Eldr.

Il secondo nodo: laicità versus esasperazione laicista. Non sfugge, credo, a nessuno tra noi che il germe di un’iniziativa sbagliata – non parlo strettamente dei cinque referendum sulla legge 40, quanto del proposito di fare dei temi sottesi il terreno di una vera e propria pretenziosa “egemonia” culturale del campo del centrosinistra – abbia continuato a provocare i suoi effetti negativi sin nei risultati elettorali.

Io mi auguro che il risultato senz’altro modesto raggiunto dall’alleanza tra Sdi e radicali aiuti a voltare pagina. Non ho mai risposto in modo polemico alle tante polemiche di cui siamo stati immotivatamente oggetto. Sottolineo in questo senso il contributo di grande pulizia e razionalità assicurato da Valerio Zanone, neosenatore della Margherita, per riaffermare una posizione di intransigenza laica liberaldemocratica del tutto compatibile con il pluralismo di cui il nostro partito ha dato prova e che, lo ribadisco, vogliamo sia cifra fondativa del Partito democratico.

Il nostro partito non solo nega ogni prospettiva confessionale e ogni suggestione da “stato etico”, ma non nasce per corrispondere a un’ispirazione religiosa organizzata in forma politica. Allo stesso tempo, riconosce il contributo dato dall’ispirazione religiosa delle persone impegnate nella vita pubblica e la ricchezza del dibattito sulle grandi questioni etiche come elementi assai rilevanti dell’espressione politico- culturale della società italiana. Prima si tornerà a questa corretta presa d’atto, meglio sarà.

Il terzo nodo: l’autonomia tra potere politico, soggetti economico- finanziari, corpi intermedi. A nessuno di noi piace salutare l’evento di un concittadino che finisce in carcere. Sottolineiamo però che la parabola in parte grottesca e in parte drammatica degli speculatori “furbetti del quartierino” fu accolta con eccessiva leggerezza nelle sue prime inquietanti manifestazioni. Esse non erano inquietanti dal punto di vista del “bon ton”, o della tutela di poteri che furono forti. Lo era nel frenetico sguazzare nella moltiplicazione di valori immobiliari – originati in molti casi da dismissioni di patrimonio pubblico – del tutto sganciata dalla creazione di ricchezza attraverso progetti di sviluppo industriale, o da una finanza al servizio di strategie che non fossero di mera conquista di posizioni di potere e di interdizione.

Credo che abbiamo capito per tempo i rischi cui la più recente gestione del governatore Fazio stava sottoponendo il fragile sistema italiano del credito nel contesto competitivo europeo. Credo che la lezione sia stata utile per tutti. Credo, e allargo qui l’orizzonte ai rapporti con le parti sociali, che il nuovo governo dovrà assicurare una ripresa della concertazione per lo sviluppo del paese.

E che Prodi abbia dato un’ottima prova prendendo identici impegni davanti alla Cgil e alla Confindustria, diversamente dalla triste parabola berlusconiana, iniziata con il tentativo di spaccare i sindacati sull’art. 18 e conclusa con il tentativo di dividere l’associazione degli industriali. Vedo oggi le fondamenta dell’autonomia, dunque, meglio comprese e più condivise. È facile il cammino che porta alla nascita del Partito democratico? No.

L’organizzazione di questo processo va seguita in modo estremamente rigoroso, attento, sorvegliato. Non ci si illuda che basti convocare qualche riunione episodica con esponenti dello star system: tocca innanzitutto alla Quercia e alla Margherita, con quasi un milione di iscritti e dieci milioni di voti, migliaia e migliaia di amministratori, lavorare all’unisono, marciare affiancati, dare e ottenere le garanzie necessarie perché tutti partecipino, siano coinvolti, sentano proprio – alla base e al vertice – un disegno tanto ambizioso.

Se questo avverrà sarà più semplice coinvolgere altre centinaia di migliaia di cittadini, altri amministratori provenienti da esperienze civiche e territoriali, altri soggetti politici (oltre ai Repubblicani europei) in un processo entusiasmante, aperto, espansivo. Una moltitudine di italiani si aspetta che facciamo sul serio.

Non ci chiede di lavare via le nostre identità culturali, che sono e debbono restare plurali. Noi vogliamo stare assieme alla sinistra democratica e riformista in quanto portatrice di tutto il suo orgoglio. Vogliamo creare un partito in cui si trovino assieme, come in un miracolo democratico, anche i figli e gli eredi di quanti si scontrarono al Porzùs, ben sapendo che oggi novecentonovantanove italiani su mille ignorano, purtroppo, le motivazioni di molte esperienze e lacerazioni della storia moderna del paese.

Ma che non c’è avvenire per nessuno se si buttano nel dimenticatoio i valori della lotta di liberazione dal fascismo; e anche se si cancellano le consapevolezze più scomode della storia patria. Vogliamo essere sicuri che gli organismi di garanzia che costruiremo assieme si comportino, per fare un esempio, ben diversamente dai probiviri dei Ds veneziani: per chi non lo sapesse, è ancora aperto il procedimento sanzionatorio, un anno dopo la ricostruzione dell’alleanza di centrosinistra attorno al sindaco Massimo Cacciari, contro i dieci autorevoli dirigenti diessini che appoggiarono Massimo nella campagna elettorale, e che oggi fanno parte della sua giunta e della maggioranza dopo l’intesa sottoscritta con Piero Fassino.

È un paradosso? Sì, ma alquanto concreto. E noi sappiamo che dobbiamo dare garanzie, sino al più piccolo municipio, almeno quanto dobbiamo ottenerne, perché il Partito democratico nasca concretamente. Del resto, abbiamo una grande forza che ci spinge a farlo: i due terzi degli elettori dell’Unione hanno votato Ulivo; la maggioranza di noi è eletta sotto il simbolo dell’Ulivo; sappiamo che la grande maggioranza dei nostri elettori si reputa di centrosinistra, ovvero non di sinistra, e neppure “centrista”.

Rappresentiamo, noi della Margherita, un patrimonio solido, non siamo stati una “fiammata” elettorale effimera. Immaginiamo di puntare – i Ds, che hanno verificato il limite di un’autonoma strategia espansiva negli ultimi qindici anni; noi, che pure siamo più giovani – sulla crescita separata dei nostri consensi, o non pensiamo sia venuto il momento di trasformare l’idea dell’Ulivo nella sua stabile realizzazione politica e organizzativa?

Di più: stiamo entrando in una legislatura in cui il successo del governo Prodi non può avvenire che poggiando su un solido baricentro riformista, almeno quanto il disegno del Partito democratico potrà realizzarsi solo se avrà successo in quanto forza della modernizzazione del paese – come in una riedizione dell’enorme sforzo rinnovatore dei primi governi del centrosinistra. Si tengono necessariamente assieme, il processo politico e la riuscita dell’azione di governo.

Meglio ancora: dobbiamo spingere il processo politico per assicurare nella non semplice situazione della nuova maggioranza parlamentare un ancoraggio rivolto solidamente al futuro. Io credo che molti elettori della “terra di mezzo”, molti moderati, molti esponenti dei ceti medi e dei mondi produttivi che ancora questa volta non si sono fidati dell’Unione potranno aderire a un proposito di stabilizzazione e riequilibrio del quadro politico italiano, basato appunto su un grande lavoro di modernizzazione riformista. Vi propongo dunque di confermare la scelta già fatta prima delle elezioni, di dare vita ai gruppi parlamentari dell’Ulivo sia alla camera che al senato. Siamo chiamati a sostenere il governo con una piattaforma e posizioni comuni di Ds e Margherita: se fosse altrimenti, sarebbe la stessa maggioranza a entrare in crisi.

Vogliamo che avvenga l’esatto contrario. I gruppi decideranno le modalità tecniche migliori per il lavoro comune, per garantire la funzionalità dei lavori parlamentari e le più efficaci modalità di organizzazione. Ma dovranno essere, ripeto, gruppi unitari con un proprio presidente. Le componenti, ripeto anche questo, dovranno essere preservate sino a che il processo politico non ci porterà alla nascita del Partito democratico, poiché è indispensabile costruire l’amalgama tra partiti diversi attraverso la fiducia e il lavoro quotidiano, come ha in definitiva dimostrato la Margherita negli ultimi anni.
Si tratta, come ci rimprovera non di rado Ciriaco de Mita, di un passaggio solo organizzativo, senza l’ispirazione di un forte orientamento politico? Per le ragioni che ho detto, credo di no. Ma credo anche che il processo politico della nascita del nuovo partito dovrebbe sia seguire la strada delle indispensabili reciproche garanzie, sia adottare al più presto alcune iniziative non convenzionali.

Faccio alcuni esempi, che naturalmente non intendono essere proposte formali, poiché dobbiamo essere rispettosi di una modalità di discussione e decisione molto partecipata, e non calata dall’alto. Perché non lanciare subito – vi hanno lavorato e riflettuto Cacciari e Michele Salvati – una grande scuola di formazione politica comune, laboratorio per giovani, amministratori, intellettuali di ogni parte d’Italia? Perché non mettere subito in un lavoro comune i think tank, i centri di elaborazione e progettazione delle nostre aree di riferimento?

Senza immaginare che si fondano – sarebbe un impoverimento, mentre abbiamo bisogno di creare la vitalità di elaborazione che ha caratterizzato le democrazie anglosassoni e quella tedesca – ma chiedendo loro di lavorare assieme, poiché occorre una semina e una coltivazione di idee integrata rispetto alle interpellanze enormi che ci vengono dagli equilibri globali in trasformazione, dalle sfide economiche, del lavoro, sociali, a quelle dell’energia, dell’ambiente, della conoscenza.

Perché, in attesa di organizzarci – sapendo che saranno necessari tempi adeguati e, ragionevolmente, deliberazioni anche a livello di congressi – non favorire strategie comuni nelle grandi aree del paese, animate da dirigenti autorevoli: una strategia per il Nord produttivo; una prospettiva di integrazione organizzativa che valorizzi il buongoverno del territorio, ma non sia in alcun modo di annessione, nelle “regioni rosse”; la messa in campo strutturata di un meridionalismo di nuovo conio, in stretto collegamento con le regioni e gli enti locali governati da noi?

Si tratta di prime suggestioni, cui aggiungere certamente proposte per la nascita di un autonomo associazionismo femminile (legato più alle funzioni e ai problemi della donna nella società che non all’autoreferenzialità delle dirigenze femminili); giovanile (sento molte lamentazioni ma non vedo abbastanza protagonismo: non si è mai vista una ri-generazione di classi dirigenti senza propositi capaci di conquistare consenso e formare opinione); professionale. Le prossime scadenze Mi fermo qui.

Toccherà all’elaborazione dei prossimi giorni, nel contesto della formazione del governo, creare le condizioni per l’agenda politica dell’avvio. Alcuni punti sono già tracciati, altri sono emersi nella campagna elettorale, e l’azione collegiale sarà presto in condizioni di partire. Voglio rivendicare anche al nostro lavoro degli ultimi due anni l’individuazione delle proposte principali condivise dalla coalizione: il taglio delle tasse sul lavoro, una coraggiosa politica familiare/generazionale, le nuove tutele rispetto alla precarizzazione del lavoro, le concrete politiche per la concorrenza e la competitività. Occorre naturalmente superare con successo le boe delle prossime settimane. La prima sarà l’elezione, dal 28 aprile, dei presidenti delle camere.

Impegno delicato specialmente al senato, ma che sono certo riuscirà bene, perché abbiamo in campo la persona più adatta per vincere e per guidare con equilibrio e grande senso di civiltà istituzionale la camera alta. Contestualmente, siamo pronti a concorrere alle soluzioni più adatte per garantire soluzioni autorevoli e i necessari equilibri della coalizione per gli altri passaggi istituzionali e politici, partendo dall’esigenza di assicurare ai Democratici di sinistra le posizioni che in una democrazia rappresentativa ad essi toccano attraverso i loro esponenti più importanti.

Al presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, alla vigilia della conclusione del suo mandato, ribadiamo la fiducia, la stima e l’apprezzamento cresciuti ulteriormente in questi sette anni. Noi riaffermiamo una posizione chiara: la nostra maggioranza sarà e dovrà essere autosufficiente.

Ma intendiamo concorrere a ricostruire la dignità del dialogo anche nello scontro politico attraverso la ricostruzione di un reciproco rispetto. E attraverso il dialogo – e non la compromissione tra le responsabilità della maggioranza e quelle dell’opposizione – intendiamo rendere più forte l’azione di governo anche sfidando l’opposizione ad essere costruttiva nell’interesse generale del paese, ricercando sempre la convergenza sui cambiamenti costituzionali, elettorali e istituzionali; e, nei casi possibili, una convergenza sulle politiche del governo e della maggioranza in materie come la politica estera, la politica della sicurezza e contro il terrorismo.

Abbiamo da combattere e vincere a partire dal 28 maggio le partite delle elezioni per l’assemblea regionale siciliana – il nostro impegno sarà totale e convinto al fianco di Rita Borsellino – per le grandi città – con Rosa Russo Iervolino a Napoli, Walter Veltroni a Roma, Chiamparino a Torino e Ferrante a Milano – ma anche in decine di province e comuni da confermare al centrosinistra o strappare al centrodestra – permettetemi di citare a questo proposito solo i nomi di Beppe Fanfani, che può finalmente riconquistare la città di Arezzo, e del nostro Baccelli, candidato nella difficile sfida per la provincia di Lucca.

Abbiamo da preparare e vincere il referendum di metà giugno per bocciare la vergognosa riforma costituzionale e la devolution. Non va preso sottogamba dacché non è previsto il quorum; va condotto con chiari messaggi e con determinazione: sarà la fatica conclusiva del durissimo ciclo elettorale di questa primavera, ma una vittoria del “no” avrebbe effetti di sistema, in grado di mettere in profonda crisi il centrodestra e consolidare decisamente le nostre prospettive di governo, oltre che quelle di riordino razionale ed efficiente del sistema istituzionale. Vi chiedo, discutendo e auspicabilmente approvando questa mia relazione, di concordare una linea che sia largamente condivisa dal nostro partito.

Una linea di unità e di progetto. Di sostegno leale e disciplinato al governo Prodi – alla cui formazione sono chiamati ad assicurare la migliore rappresentanza della Margherita in modo unitario gli organi del partito – per l’intera durata della legislatura. Di varo immediato dei gruppi dell’Ulivo in parlamento. Di sviluppo del processo che dovrà portarci, se vogliamo cambiare l’Italia e il modo di far vivere la politica in Italia, alla nascita del Partito democratico.

Abbiamo deciso quattro anni fa di fondare un partito orgoglioso delle sue radici e motivazioni, e dunque della sua autonomia, e conscio allo stesso tempo della sua vocazione unitaria. Dopo la difficilissima battaglia elettorale che ci ha fatto sconfiggere di misura la destra di Berlusconi, dobbiamo saper reinvestire ciò che abbiamo duramente conquistato in un orizzonte ambizioso. Camminando con i piedi per terra ma con lo sguardo alto.

di Francesco Rutelli

 

 

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