La Corte si è fermata a Maratea. Tre costituzionalisti-fai-da-te hanno deciso:

Le sentenze supreme non hanno efficacia nella Regione Calabria

pubblicato su SETTE del 21.09.2012

di Gian Antonio Stella

E tre dirigenti '"'illegittimi" e discussi non sono fuorilegge

A vele presente il Noce dello anche fiumara di Castrocucco? Sulle carte geografiche è un fiume che segna il confine tra la Basilicata e la Calabria. Ma secondo la giunta regionale calabrese segna anche i limiti meridionali della sovranità della Corte Costituzionale: fino a Maratea i suoi pareri contano ma già a Tortora Marina subentra la giurisdizione del governo della Regione.

La storia, raccontata sul Corriere della Calabria da Pablo Petrasso e Antonio Rìcchio sulla base di una denuncia del consigliere Demetrio Naccarl Carlizzi, è stupefacente. Il nodo della contesa è la posizione di tre dirigenti regionali "comandali", cioè presi in carico da altri enti pubblici, grazie alla Finanziaria varata nel 2010 dalla maggioranza che sostiene il governatore Giuseppe Scopelliti.

l nomi: Giacomo Giovinazzo, Rosalia Marasco e Luigi Zinno. Secondo lo stesso governo Berlusconi, di centro-destra come la giunta calabrese, il meccanismo che aveva consentito quella decisione era illegittimo. E della
questione era stata investita la Corte Costituzionale. La quale il 1° aprile 2011 aveva stabilito che si, quell'atto regionale era incostituzionale.

Conseguenza? Lo dice la legge: «Le assunzioni a tempo indeterminato, incluse quelle derivanti dalla stabilizzazione o trasformazione di rapporti a tempo determinato, nonché gli inquadramenti e le promozioni» decise
con delibere poi dichiarate incostituzionall «sono nulle» e va «ripristinata la situazione preesistente a far data dalla pubblicazione della relativa sentenza»

Chiaro? La Regione avrebbe dovuto all'istante rimuovere quei tre dirigenti c restituirli agli uffici da dove erano stati prelevati. Il guaio è che la giunta si era, diciamo così, «affezionata» a quei funzionari e in patticolare, par di capire, a Rosalia Marasco, la dirigente del personale la cui firma figura in calce alla nomina di Alessandra Sarto ai vertici della sanità calabrese. E chi è questa signora? La moglie eli Vincenzo Giglio, un giudice reggino ammanettato il 30 novembre 2011 dai magistrati milanesi con le accuse di corruzione e favoreggiamento personale, aggravate dall'aver agevolato la 'ndrangheta passando notizie riservate al consigliere regionale pdl Francesco Morelli, arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa.

L'INVENZIONE DEL TAVOLO.

Che c'entra la moglie? Lo spiegava l'ordine di arresto: «Per chiarezza va subito detto che lo scambio è: per Morelli notizie relative a possibili procedimenti a suo carico per mafia; per i Giglio la nomina di Alessandra
Sarlo a commissario straordinario Asl Vibo Valentia». Per capirci: «A questa corruzione non può essere seriamente ritenuta estranea la moglie del giudice, che ne beneficia e sa perfettamente quanto il marito si sia impegnato per lei».

Una nomina seguita recentemente da una promozione perché pescare «all'esterno dell'ente avrebbe comportato un aggravio perle casse». lnsomma, la rimozione della signora Marasco sarebbe stata un'operazione
scomoda. E allora cosa si sono inventati, a Reggio? La costituzione di un «tavolo tecnico» composto da altri dirigenti esterni per decidere cosa fare della sentenza della Consulta. Dopo 15 lunghi mesi di pensosi pensamenti i tre "costituzionalisti in salsa calabra" hanno risposto: no, visto il tempo passato dalla sentenza, la Regione non doveva applicare subito quel verdetto.

Tanto più che quei clirigenti «hanno continuato a ricoprire posti di responsabilità adottando importanti atti amministrativi». Dopo di che la Giunta regionale ha varato una delibera che, sulla base del parere di tre
"costituzionalisti-fai -da-te", elispone agli ufficiali non adempiere alla sentenza.

Quella legge vale per l'Italia: che c'entra la Calabria?

 

Sette 21 09 2012

Pubblicato il 26/09/2012

 

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