Non è mai esistito nella realtà un modello Scopelliti

Una vera e propria squadra di controinformazione si è impossessata del destino di Reggio Calabria

Non è mai esistito nella realtà un modello Scopelliti. Una vera e propria “squadra di controinformazione” si è invece impossessata dell’idea che si era fatta avanti in Italia con la stagione dei sindaci e che vedeva nel modo di amministrare Reggio un modello positivo dopo anni di subalternità culturale. Si è impadronita di quel trend positivo e ha speculato sull’aspettativa razionale dei reggini di vedere continuare il cammino virtuoso della città, applicando un marketing al prodotto amministrativo Scopelliti che è di una qualità evidentemente scadente.

Alcuni commentatori per ottimismo ed avventatezza, altri per ossequio al potere o per interessi personali hanno sostenuto questa operazione di facciata inventando una continuità improbabile quanto campata per aria con il governo Falcomatà.  Se confrontiamo le parole chiave della primavera di Reggio con la stagione di Scopelliti ce ne possiamo rendere conto: il modello di governo condiviso che si finge di riproporre ma nega persino ai consiglieri comunali i bilanci dell’ente, Reggio e il mediterraneo che diventa una scusa per finanziare operazioni incomprensibili a Malta, l’area dello Stretto e il rapporto con Messina che diventano un orizzonte e si perdono in una fumosa città metropolitana, la trasparenza amministrativa che diventa permeabilità ai poteri anche criminali, l’ estate reggina che diventa una scusa per finanziare emittenti radiofoniche che trasmettono Peppe dj a suon di milioni di euro.

Sarebbe il caso anche di confrontare il modo in cui è cambiato radicalmente il rapporto con la stampa nazionale e ricordare che, mentre la “primavera di Reggio” era additata dagli osservatori esterni come un  modello di riscatto del Sud, con Scopelliti abbiamo il tentativo di dipingere i giornalisti critici verso la sua amministrazione come nemici della città o cialtroni o sodali delle forze affaristiche cui si contrappone l’azione fulgida, ma introvabile nei fatti, del sindaco del nuovo rinnovamento. E’ inutile sottolineare che tale metodo è tipico di una destra storicamente aliena da idee democratiche. Le vicende anche processuali dell’aggressione politica ad Antonello Caporale o le ingiurie e i giudizi smodati ed incomprensibili verso Roberto Galullo,  Enrico Fierro e Guido Ruotolo ne sono un esempio lampante.

Scopelliti è quindi sì un modello ma negativo e della manipolazione comunicativa e in particolare della creazione di percezioni ed illusioni. Pensiamo alla città turistica senza i turisti, alla città che cresce senza cantieri o con i cantieri fermi, alla lotta alla mafia con i consiglieri o assessori indagati o arrestati, alla lotta alla cricca con una cricca elettorale che diventa egemone e proprietaria dell’agire pubblico.

Di recente una tesi pubblicata con lode e realizzata al Politecnico di Torino in materia di pianificazione territoriale ha descritto Reggio nel periodo della sindacatura Falcomatà come un caso positivo di un territorio che passa da “città dell’abusivismo” a “riserva di progettualità”.  La Tesi fa emergere netto il contrasto tra la “primavera di Reggio “ fonte di rinascita e trasformazioni positive e il “Modello Reggio” visto come conferma dei luoghi comuni  riguardo la classe dirigente meridionale. Altri importanti riconoscimenti furono tributati alla nostra idea di amministrazione  che si segnalava in vari settori e veniva recensita e studiata da diverse università italiane (Torino, Castellanza, Bologna etc.).

Scopelliti è stato invece abile a mettere insieme una batteria impressionante di strumenti di proiezione di una realtà virtuale che per funzionare ha avuto bisogno di una forte sponsorizzazione dei media, di ingenti investimenti in strumenti ed iniziative di distrazione di massa. Le risorse non sono più orientate agli investimenti ed a dotare la città di infrastrutture ma ad alimentare il breve delle illusioni e delle clientele. Una macchina elettorale che alimenta un’ipertrofia di liste e candidati, finanzia associazioni e professionisti, non lascia traccia della costruzione del futuro. Modifica l’etica pubblica e le regole della concorrenza, sostituisce i molti con i pochi in alcuni settori, i tutti con “i miei”, il cittadino con il sodale.  

Non importa se poi i sodali del cerchio magico sono gli unici veri beneficiati e in alcuni casi diventano praticamente ricchi: l’azione del regime offre a tutti un’illusione e cerca di comprare condivisione mentre lentamente toglie pregio alla professionalità di chi viene in contatto con l’amministrazione. Per finanziare tutto questo la spesa corrente passa dai 100 milioni di euro del 2002 ai 194 milioni del 2011. Si riduce drasticamente sino ad annullarsi la spesa per investimenti e si distraggono i fondi per le opere pubbliche. Alcune rallentano , altre si fermano, altre ancora arrivano ad accumulare riserve per cifre superiori all’importo dell’appalto. L’economia cittadina va in tilt.  Chiaramente la propaganda di regime attribuirà alla crisi mondiale ed ai credit default swap l’interruzione dei flussi di cassa  e la distrazione di somme vincolate.

L’usura del modello proiettato in città come in un immenso drive-in porta oggi i malcapitati interpreti delle ultime puntate della commedia a dovere spingersi oltre l’inverosimile per difendere l’esistenza di un’amministrazione. Ecco allora il tentativo di scaricare su singole persone i fallimenti,  occorre valutare però solo la generosità del caro leader che era spinto dall’ansia di fare. Non faceva cose utili e veniva pure ingannato dai suoi collaboratori. Certamente non sapeva e non si poteva accorgere di ciò che non andava come della qualità o della provenienza dei compagni di viaggio. Partono le campagne sulla “memoria corta”, una sorta di pubblicità ingannevole che punta sull’Alzeimer come malattia sociale,  il tentativo disperato di rinfocolare gli slogan ormai usurati.  Il vecchio trucco di appropriarsi del lavoro degli altri.

Allora Scopelliti diventa per esempio quello che ha realizzato i lavori del Cilea e le nuove reti idriche e il metano non più opere simbolo di Falcomatà. Si cita persino il castello Aragonese di cui non si capisce se rivendichi la seconda ristrutturazione  a tutt’oggi ferma per distrazione dei fondi, la prima che non gli appartiene o addirittura la costruzione a scapito degli Aragonesi e così via. I protagonisti del modello sono ormai passati a raccontare mirabilie in un altro ente.

Anche lì parlano insieme a nuovi pseudoprotagonisti  di un modello da esportare, questa volta all’intero Paese. Purtroppo arrivano presto i non sapevo e non credevo, le amnesie, la mancanza di liquidità di cassa. Ci sarebbe da ragionare sull’insufficienza dei modelli di controllo e sul fatto che la nostra percezione alle volte riduce l’utilizzo delle risorse pubbliche ad una questione per cultori della contabilità senza comprendere il disvalore, l’antigiuridicità e il condizionamento sul futuro ben più grave di tanti comportamenti che nell’immaginario collettivo hanno un impatto negativo ben più immediato.

Ma chiaramente sbagliamo tutti, ispettori e periti, magistrati cattivi da distinguere dai magistrati buoni, Corte dei Conti e consiglieri non allineati, dipendenti che non ricevono lo stipendio e imprese creditrici, lavoratori e professionisti. Non capiamo il modello ed addirittura rivendichiamo il rispetto delle leggi e dei contratti. Una pretesa inaccettabile di fronte a cotanto... modello!  

Demetrio Naccari Carlizzi

 

 

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