Disoccupazione raddoppiata in sei anni

I dati sulla disoccupazione giovanile sono preoccupanti

I dati sulla disoccupazione giovanile contribuiscono a consolidare l’idea di un Paese dove le diseguaglianze sociali hanno ormai preso il sopravvento sul profilo unitario e nazionale del sistema dei diritti e delle prestazioni statali. I livelli essenziali delle prestazioni, siano esse riferite ai servizi sanitari piuttosto che a quelli dei trasporti, sono ormai una maschera logora sotto cui emerge un quadro sempre meno confrontabile di diritti, solo astrattamente nazionali e di prestazioni solo geograficamente esigibili.

Dopo anni di questione settentrionale con i suoi corollari di federalismo fiscale, rimozione culturale del Mezzogiorno e criminalizzazione generalizzata di tutta la società meridionale, ciò che emerge è la deriva dei diritti sociali che ha territorializzato le prestazioni e dilatato le diseguaglianze. Oggi i diritti sono geografici, la loro esigibilità, cioè, dipende dalle latitudini e non più dalla Costituzione.

Il centrosinistra, in questa fase di uscita dalla crisi, non è riuscito ancora di invertire il trend che è stato impresso sin dai primi anni 2000 alla politica economica del Paese né di affrontare il tema del Mezzogiorno in una chiave attuale e nazionale. Con il paradosso che l’eguaglianza vige per le regole tributarie ma non per i servizi e di conseguenza, a parità di reddito e al netto dei maggiori tributi locali richiesti dalle città del Sud strangolate dalla finanza centrale, ai contribuenti del Sud viene richiesto un maggiore sacrificio fiscale a fronte di minori servizi.

Il referendum ha marcato questa differenza sociale in un Paese dove al Sud si impone uno schema sociale regressivo. Verrebbe da definirlo della società dei due terzi esclusi  (giovani, disoccupati, inoccupati, soggetti deboli) rispetto alla tradizionale lettura di Peter Glotz.

In Calabria, infatti, nel 2016 la disoccupazione è stata pari al 23,2%. Pensate, però, che, in una fase diversa, nel terzo trimestre 2010, alla conclusione dell’allora esperienza del governo regionale di centrosinistra era al 10,6% ed era scesa dal 2005 al 2010 di quasi 4 punti percentuali. In meno di 6 anni è più che raddoppiata!
Cosa significa, poi, realmente, in termini sociali, il dato della disoccupazione giovanile al 60%?

I dati di seguito esposti sui tassi di attività, di occupazione e di disoccupazione lo spiegano meglio.

In Calabria il tasso di attività per i giovani sotto i 25 anni è nel 2016 del 21,2% , mentre nel 2015 la media era del 22,1% ; è dai 25 ai 34 anni che si incrementa notevolmente, passando al 58,4% del 2016 (57,4% nel 2015); addirittura nella fascia di età 35-44 raggiunge nel 2016 il valore più alto (68,4%) (+6,1% rispetto al 2015); per la fascia 45-54 è pari al 58,3% e infine per gli over 55 passa al 46,2%  (-0,2% rispetto al 2015).

Nel 2016 si registra in Calabria un tasso di occupazione totale del 30,9% (sostanzialmente stabile rispetto  2015 quando era stato pari al 30,4%), un valore molto più basso della media nazionale chè è pari al 43,1%. Il tasso di occupazione per i giovani sotto i 25 anni è pari al 8,7% , +1% rispetto al 2015; dai 25 ai 34 anni  aumenta notevolmente, passando al 35,7% del 2016 (è tuttavia in calo di -0,9 punti percentuali rispetto al 2015); nella fascia di età 35-44 raggiunge il valore più alto (54,3%) in aumento rispetto al 2015 (50,6%).

Quindi se il dato della disoccupazione giovanile del 60% sembra grave è ancor più grave che il tasso di occupazione giovanile sia pari all’8,7%. Se, infatti, sommiamo chi ha rinunciato a cercare lavoro, chi è agli inizi di una incerta e affollatissima carriera professionale da cui non ricava ancora quanto serve (giovanissimi professionisti) e correttamente non teniamo in conto chi studia, la disoccupazione in Calabria è sostanzialmente una maledetta regola da cui si sottraggono in pochi, cioè solo 8,7 persone su 100.

Questo fenomeno non trova eguali in nessuna società democratica occidentale ed è singolare che non trovi una reazione urgente ed adeguata ai vari livelli istituzionali.
A fronte di ciò come pensa di muoversi la Regione? Cosa pensa di fare il governo nazionale?

Occorre un radicale ripensamento degli strumenti regionali. Field e Calabria Etica, anche in conseguenza di una gestione clientelare, avevano da tempo ormai smarrito il loro spirito iniziale che era quello di creare sviluppo ed occupazione e si erano trasformate in una “agenzia di collocamento privata” da utilizzare in campagna elettorale. Calabria Lavoro, nome evocativo, ma poco realistico, non ha creato e continua a non creare alcun posto di lavoro nel mercato, il bilancio complessivo è misero a fronte di una “barcata” di milioni di euro di spesa. Una campagna acquisti milionaria e zero risultati al di là dei risultati trionfalistici riportati nella relazione sulle performance 2015 approvata nei giorni scorsi dalla giunta regionale circa il grado di raggiungimento dei risultati.

Da queste ultime valutazioni sembrerebbe che le politiche del lavoro abbiano avuto un’attuazione ottimale. La situazione purtroppo è un’altra e si sta creando un solco drammatico tra atti formali e Paese reale.

Per questo serve interrogarsi seriamente sugli effetti delle politiche regionali orientate dalla spesa comunitaria regionale. Il frazionamento e la polverizzazione della spesa, favorisce al più la gestione clientelare della stessa. Sarebbe necessario uno sforzo integrato su pochi obiettivi ma dotati di risorse e soprattutto seguiti e valutati nell’iter di applicazione. Nessuno vuole sottovalutare o denigrare le iniziative intraprese o quelle in preparazione, tuttavia l’immagine che viene fuori dal PO 2014-2020 è quello di un insieme di misure che hanno come unica logica quella di spendere comunque e a prescindere senza una visione strategica e senza una seria strategia di valutazione.  La situazione è drammatica e richiede un impegno responsabile di natura eccezionale.

Il governo nazionale deve decidere che rapporto avere con il Mezzogiorno. La costituzione di un ministero ad hoc ha creato aspettative e speranze e oggi attendiamo di conseguenza e con fiducia le nuove politiche.

Ma la dinamica distruttiva del substrato sociale ed umano che oggi riscontriamo nel Sud imporrebbe a nostro avviso un’azione congiunta del governo nazionale e di quello regionale.
L’anno scorso avevamo proposto un programma di intervento che prevedeva l’istituzione di una misura di reddito di inclusione sociale unito a un grande Piano per il lavoro, misura richiesta a gran voce anche dai sindacati. Ma siamo rimasti inascoltati.

Oggi non vediamo alternative ad una politica innovativa di approccio multilivello e differenziato al dramma sociale della disoccupazione e soprattutto di quella giovanile. Riconciliare diritti sociali nazionali con diritti sociali quasi figurativi del Mezzogiorno. Una Piano per il lavoro e la misura del reddito di inserimento sociale in una strategia più ampia, sinergica e complementare con le misure di lotta alla povertà appena inserite nel Def.

Un intervento che serva anche a fare uscire la nostra regione da quello che appare come un isolamento geo-sociale ed a inaugurare con politiche e misure innovative la nuova fase di attenzione al Mezzogiorno segnata dal governo Gentiloni.

pubblicato su [corrieredellacalabria.it]

*Presidente associazione P4C
**Docente Università Mediterranea Reggio Calabria

 

Work in progress (Ten)

Pubblicato il 25/05/2017

 

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